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“I'm a Peacock” di Pierpaolo Ranieri

Recensione del nuovo album pubblicato a febbraio 2020
da Pierpaolo Ranieri

Ed eccoci a recensire l’ultimo lavoro di Pierpaolo Ranieri dal titolo molto “curioso” (come dicono al sud) I’m a Peacock (Io sono un Pavone).

Pierpaolo Ranieri, per chi non lo conoscesse, è un bassista italiano molto attivo che vanta collaborazioni in vari ambiti musicali. E questa peculiarità lo rende molto eclettico da ogni punto di vista.

Il disco in questione è disponibile nel formato CD e in download. Ma è stampato anche in vinile e viene descritto dall’autore in questo modo – “No fancy chords, no flashy chops, no Juno synth, no guitars. Just a limited 180 gr. Pink vinil for adult only. Drop the needle and let his bass tear your place down”.

Nel leggere “no Juno synth” mi è partito l’applauso, essendo io tastierista e considerando il Juno un vero ordigno, oggi come allora!

Il lavoro è una produzione di Luca Sapio.

Ma iniziamo a parlare del disco. 

Non cercherò di catalogare il disco in un determinato genere musicale, non serve a nulla, sono solo delle nomenclature insignificanti. Oggi la musica gode, non ho detto risente (!) delle tante contaminazioni. Le terminologie come “fusion”, “crossover” e altre non sono da intendersi dispregiative, ma rappresentano solo un modo sbrigativo per intendersi al volo. E Pierpaolo Ranieri è una sorta di trasformista del basso elettrico!

Qui c’è tanta elettronica, ma usata quasi con cautela, insomma tutto è dosato nella giusta quantità. Non ci sono arpeggiatori che quando li senti riesci addirittura a capire quale ordigno si è usato! Si fa uso di beat elettronici, ma con compostezza e competenza. Anche i synth si stagliano nel panorama sonoro. Dall’uso che ne fa credo che siano dei modulari e/o pedali dedicati, ma non posso essere sicuro al 100×100. Ma comunque ciò che è importante sottolineare è che il basso è il vero protagonista, sta sempre lì, ma in modo sobrio. Infatti non sembra di ascoltare il disco di un bassista. E questo è un punto a favore per l’autore, che riesce a connotare la sua musica in modo globale, non rinunciando alla propria identità.

Ok si parte allora!

Le tracce sono 9 e le analizzeremo in modo approfondito.

1. Who is God? (Chi è Dio?)

Entrata di synth modulante con bassa resonance, voce che si interroga ripetendo il titolo. Cassa in quattro e charlie in levare. Entra il basso con un pattern molto piacevole e musicale che mi ricorda la linea di “come on come over” di J. Pastorius (ho detto Pastorius?!). Ma la cosa particolare è la “gallinella” fatta con il basso (sono quasi sicuro) suonato con il plettro, che “aiuta” la cassa e il charlie dando quell’impronta funk molto coinvolgente. Bello anche lo snare secco, senza riverberazioni inutili e impastanti. Tutto ciò serve a valorizzare l’armonia del brano che è deputata ai synth che modulano intorno alla tonica. Pian piano cresce il tutto e i synth si trasformano nel timbro, diventando progressivamente sempre più acidi e in sync con il bpm. E su tutto questo c’è un assolo di basso molto “mascherato”, fortemente ritmico, mai invadente, persino nel volume giustamente dosato. Sono quegli assoli che quando li registri ti fai prendere la mano dalla voglia e ne fai 100 versioni ma poi, puntualmente, ti piacciono tutte … e non sai quale scegliere. Si narra che per ovviare a tali situazioni sia nata la tecnica del comping digitale! Insomma il brano vola via che è una bellezza. Qui non serve dimostrare, conta il groove e ne abbiamo a iosa.

2. My Instinct (Il mio istinto)

Inizia con un bel suono di flauti stile mellotron, asciutti e vibranti. Voci che cantano una frase molto orecchiabile e ammiccante che sarà riproposta ogni tanto, come per essere ricordata. Entra la batteria con il basso che suona bicordi a completare l’armonia parziale dei flauti. Bello l’arpeggio stoppato del basso (forse c’è un gate ad asciugarne il suono). La melodia è semplice ed orecchiabile. Poi arriva la prima modulazione connotata da un cambio di ambientazione molto piacevole, supportata da un basso molto presente che suona semicrome tese a rafforzare. Torna la melodia principale e la struttura è dichiarata. Bello il finale dove il tema principale viene doppiato con l’aggiunta di delay. L’effetto è quello di allargare la spazializzazione, il fronte sonoro. Si apre il suono, anche in termini di frequenze. Un brano arrangiato intelligentemente alla ricerca di musicalità fruibile da chiunque.

3. The future is (Il futuro è)

Voce femminile con tanto alone a simulare un altoparlante di strada. Cassa in quattro doppiata diligentemente dal basso. La melodia è scarna, crescente e quasi ossessiva. Ma poi arriva un bridge con più dolcezza sia armonica che timbrica. La linea melodica di questo bridge scorre tranquilla, sembra una chitarra, una telecaster con quel suono anni ’70, piena di riverbero. Ma è un basso con il plettro sostenuto da archi molto dimessi stile Solina (molto LoFi). Scorrendo si arriva ad un assolo molto discreto ma efficace, supportato dalla melodia riverberata. Poi nel finale tornano le voci e l’ambientazione diventa più essenziale. Finisce con un rumore che simula scratches in sync con il brano (bella trovata).

4. Days of the Blackbird (I giorni del merlo)

Brano malinconico e tranquillo. Sobrio e riflessivo. Melodia doppiata dalla voce volutamente “canticchiante” come sotto la doccia. Rende, attira e ci canti dietro. Bello il ribattuto percussivo insieme al simil rhodes un po’ distorto (una punta di ring modulator?). In questo brano ci sono molti accorgimenti “cercati” in fase di mix. Il basso che esegue le melodie è leggermente spostato sulla destra, insieme a uno degli snares, sì ce ne sono due, l’altro è quasi costantemente a sinistra e … risponde. Tutto ciò è ottenuto operando anche sul balance degli effetti, ovvero delle code. Il risultato è piacevole. Tutti gli interventi, strumentali e vocali risultano pertanto distanziati, distinti. E l’impasto sonoro ne guadagna. Mi è piaciuto molto!

5. The Kingmaker (Il Kingmaker)

Atmosfera caotica ed inquietante con una drums fortemente sincopata in sottofondo. Brano fortemente modale caratterizzato da una melodia eseguita con un basso distorto e sintetizzato, applicando una modulazione in rilascio (probabilmente un pedale dedicato). La spazialità del brano è assicurata da tutto ciò che si muove sotto, mi riferisco al panning. Molta elettronica qui, bello il suono percussivo del finale che va a rafforzare la drums a cui non facevamo più caso, catturati dal marasma sonoro. Brano molto aspro e di effetto. Dà l’idea di essere stato molto “pensato” in fase di arrangiamento.

6. Be Good to me baby (Sii buono con me baby)

E non poteva mancare il brano mezzo rock, con un basso che inizia quasi in stile fingerpicking ad accompagnare, bello caldo e tranquillo. Voce con lunghe code che ripete il titolo. A tratti sembra di stare in un paesaggio desertico e sconfinato come quello del vecchio west, anche quella voce “uhmmm” che c’è ogni tanto contribuisce a materializzare questa immagine. Modulazione tipica in stile con pedale di basso e via con il ciclo di struttura. Ti aspetti da un momento all’altro l’attacco con lo snare cattivo che invece non arriva, tenendo bassi i toni dinamici del brano. Ne arriva un altro che doppia il battere del II e IV quarto. Ma va bene così, infatti! Finisce con il cowboy che canta uhmmm!

7. Passage (Passaggio)

Da questo brano in poi si cambia un po’ registro. Sì … le atmosfere diventano molto marcate e non danno tregua. Ma si è portati ad immergersi nel contesto generale e anche con curiosità. Il basso gioca a fare i contrappunti ad una melodia che non c’è, sostituita da “rumori elettronici” e linee armoniche dissonanti. Tutto questo mentre la batteria gioca con i piatti e a volte credi di ascoltare un accenno di andamento swing. Vorrei tanto chiedere come è nato questo brano!

8. I am Peacock (Io sono un Pavone)

Title track che scorre via con molta fluidità, … a proposito abbiamo inserito il video in questa recensione. Storia di una sardina che aspira a diventare un pavone, con esiti inaspettati e sicuramente nefasti (vedere video please!). Brano molto metropolitano, contorto, caotico, pieno di “luci” musicali, ben rappresentate da altrettanti suoni efficaci al punto giusto. Mi piace il basso stoppato e pieno di groove che ricama, in perfetto stile funk, accennando persino un walkin’ bass pizzicato. Su questo brano esce l’anima funk dell’autore, quindi armonia minimale solo sussurrata e, ripeto, tanto groove. Ad un tratto ho tossito … a tempo!

9. Crash

Intro con basso doppiato in ottava alta e toms che giocano. Poi arriva la melodia ripetuta, quasi ostinata, circondata da un ricamare del basso dal suono in questo caso dry, naturale. Solo una punta di envelope shaper per dare più attacco alle note. Trattasi di ballad. Adesso però concedetemi una citazione: “Three views of a secret” e direi che ci siamo capiti! Ecco, l’atmosfera di Crash mi ha ricordato questo brano, vabbè ve lo dico è dei Weather Report e fu pubblicato nel 1980. Non che io voglia forzare un paragone però, … nel caso l’accostamento è un fatto assai positivo. Il finale riprende l’intro.

L’impressione finale che ho maturato dai ripetuti ascolti è che siamo di fronte ad un’opera che non strizza l’occhio a qualcosa in particolare. I suoni sono molto ricercati ma non affaticano mai l’ascoltatore. Si sente l’elettronica ma è sopita dal concetto, per me molto evidente,  di musica crossover, che avrà da qualche parte le proprie radici, ma ci interessa il giusto. 

Pierpaolo Ranieri è un bassista con uno stile musicale molto personale, che risente, in senso positivo, di tanta sperimentazione sul suono e sulla sua collocazione come base di un arrangiamento.

Sono quasi certo che a lui interessi poco un certo tipo di risultato ruffiano e comodo. Riesce comunque a coniugare la sua risolutezza musicale non sacrificando mai la musicalità. Anche gli ultimi tre brani, che come già anticipato sono molto connotati e d’impatto, sono limpidi, si dichiarano

E l’ascoltatore si abitua subito all’ambientazione abbastanza particolare.

Il jazz, elettrico o meno che sia, ha fortemente bisogno delle contaminazioni, di ogni tipo, anche elettronico. Ben venga quindi un certo tipo di approccio che non necessariamente consideri le origini. Qui di jazz ce n’è probabilmente poco e non si avvertono particolari influenze archetipali  nemmeno in senso bassistico. All’inizio della recensione ho citato Pastorius solo perché il riff che accompagnava il brano “Who is God?” me lo ricordava. Stessa considerazione per i Weather Report. Ma il bassismo di Pierpaolo Ranieri è davvero molto personale.

Insomma … io questo disco ve lo consiglio!

E guardatevi il video molto interessante e particolare relativo alla title track.

marco campea – siAMO musica – ICOnA